IL CASTELLO PICCOLOMINI
Il castello posto sulla
sommità del borgo medievale di Capestrano è stato costruito nella seconda metà
del XV secolo per volere di Antonio Piccolomini, marchese di Capestrano dal
1463.
L’edificio, probabilmente,
fu costruito su un più antico recinto fortificato, come lascia supporre la torre
quadrata interna posta in posizione irregolare rispetto al resto della
fortificazione; potrebbe pertanto trattarsi di una fortificazione preesistente
risalente al XII secolo con il puntone all’estremità più alta, simile ad altri
castelli di epoca normanna, visto che caratteristica di tale epoca erano proprio
le torri rettangolari a controllo e difesa del territorio circostante.
La planimetria del castello
dipende direttamente dall’andamento del suolo e nella costruzione furono
evidentemente sfruttati tutti gli appigli del terreno, perciò esso presenta un
andamento irregolare. Il fabbricato è costituito da due corpi di fabbrica ad “L”
con il lato maggiore rivolto sulla piazza del paese; questo fu il fianco
maggiormente difeso dai costruttori in quanto non erano previste aperture ed era
protetto da un fossato e da un ulteriore recinto fortificato che cingeva
l’intero centro abitato di Capestrano, mentre l’ingresso originario al castello
era situato sul lato opposto della piazza.
A seguito di un restauro
del 1924, come si legge nel gradino di ingresso al castello, l’aspetto antico è
stato letteralmente capovolto dando addirittura l’impressione che la facciata
principale sia quella rivolta verso la Chiesa parrocchiale; è stato creato
quindi un nuovo ingresso per agevolare l’accesso dalla piazza principale e sono
stati realizzati finestroni al primo ed al secondo piano della struttura. Il
portone di ingresso è sormontato dallo stemma del comune costituito da una torre
sopra un monte da cui scaturiscono tre fiumi a significare l’origine del nome di
Capestrano, “Caput trium amnium” cioè capo delle tre sorgenti da cui
nasce il fiume Tirino.
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SAN PIETRO AD ORATORIUM
Sulla sponda sinistra del
fiume Tirino, all'altezza del mulino Campanella, è situata la chiesa di S.
Pietro ad Oratorium; probabilmente già esistente prima del 752 d.C., fu
ampliata e dotata di un importante complesso monastico da Desiderio, ultimo Re
longobardo, nel 756 d.C..
Dipendenza del monastero
benedettino di San Vincenzo al Volturno, fu centro della vita civile e religiosa
per circa VI secoli, fino a quando diventò possedimento dei primi feudatari di
Capestrano.
Nell’anno i monaci
iniziarono un’opera di restauro della chiesa, come sta a ricordare come sta a
ricordare l'iscrizione sulla porta d'ingresso “A REGE DESIDERIO FUNDATA MILLE
NOCENTENO RENOVATA”.
Nel 1117 d.C. papa Pasquale
II riconsacrò la chiesa e vi portò alcune reliquie di San Pietro apostolo.
Inoltre accordò numerosi privilegi economici al monastero e svincolò i monaci
dall’obbedienza nei confronti del monastero di San Vincenzo al Volturno;
concesse all’abate Antonio l’uso dell’anello, dei sandali e del pastorale ed
assoggettò il monastero alle dirette dipendenze della Santa Sede, facendolo
diventare una diocesi nullis.
Al centro della facciata è
posto l’ingresso principale, composto da due stipiti finemente decorati con temi
floreali e da un architrave monolitico recante una iscrizione che ricorda il
restauro del 1100; questo è a sua volta sormontato da un doppio arco a tutto
sesto contenente un affresco raffigurante San Pietro apostolo. Ai lati del
portale, due bassorilievi riproducono le immagini di San Vincenzo al Volturno e
di re Desiderio.
L’interno si presenta con
il tipico schema delle prime chiese romaniche: tre navate che si concludono con
altrettanti absidi semicircolari. Le navate sono divise da pilasti a sezione
rettangolare ed archeggiature a tutto sesto.
L’altare principale è
sormontato da un monumentale ciborio realizzato con il restauro del 1100.
La parete dell’abside
centrale è finemente decorata con affreschi del XII secolo che raffigurano,
nella sezione superiore, gli angeli dell’Apocalisse ed il Cristo Redentore
seduto tra gli evangelisti, gli apostoli ed i primi martiri cristiani mentre
nella parte inferiore sono rappresentati gli abati in preghiera.
All’esterno, incastonata
nella facciata principale a sinistra del portone di ingresso, si trova una
pietra molto particolare contenente una frase palindroma che si può leggere da
sinistra a destra e dall’altro in basso:
S |
A |
T |
O |
R |
A |
R |
E |
P |
O |
T |
E |
N |
E |
T |
O |
P |
E |
R |
A |
R |
O |
T |
A |
S |
Diverse sono le spiegazioni
che gli studiosi hanno dato a queste parole, ma rimangono sempre delle
interpretazioni, spesso anche in contrasto tra loro.
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IL GUERRIERO DI CAPESTRANO
Il Guerriero di Capestrano,
icona simbolo dell'Abruzzo, è uno dei reperti più affascinanti che il passato ci
abbia restituito. Quando si entra nella sala del Museo Archeologico Nazionale
d'Abruzzo a Chieti, dov’è conservato, si rimane colpiti dalla sua imponenza. La
scultura, priva delle gambe, fu casualmente rinvenuta nel 1934 da un contadino
capestranese, Michele Castagna, durante alcuni lavori agricoli. Successivamente,
gli scavi archeologici portarono alla luce altri frammenti della statua,
permettendone poi la ricostruzione; durante la stessa campagna fu scoperta una
necropoli di tombe databili tra il VII e il VI secolo a.C., pertinente
all’antica popolazione dei Vestini.
Scolpita in un unico blocco
di calcare, materiale lapideo coerente con il contesto geologico in cui è
inserita l'area archeologica di Capestrano, la statua, che doveva essere
originariamente policroma, rappresenta una figura maschile con braccia piegate,
il braccio destro sul torace e il sinistro sul ventre; sulla testa è posto un
elmo da parata a disco e il volto è coperto da una maschera; intorno al collo
porta un collare con un pendaglio rettangolare e sugli avambracci due bracciali
(armille), presumibilmente in bronzo; a protezione del cuore due dischi in
corrispondenza, uno sul torace e uno sulla schiena, entrambi metallici, mentre
due elementi, metallici o di cuoio (mitra), sostenuti da fasce e cinghie
incrociate, proteggono il bacino; la forma appuntita data dallo scultore alle
tibie fa pensare alla presenza di schinieri, mentre ai piedi sono ben visibili
dei calzari, la cui foggia riporta ad esemplari rinvenuti in altre necropoli
vestine. Sul petto il guerriero regge una spada, con elsa e fodero decorati con
raffigurazioni simboliche e un pugnale; con la mano destra regge invece una
piccola ascia; ai due lati del corpo presenta due lance lunghe incise sui
sostegni laterali della scultura.
Gli elementi bellici sono
particolarmente utili ai fini della datazione: la coppia di dischi-corazza in
bronzo, in greco kardiophylakes (ossia paracuore), sono stati ritrovati
in varie tombe vestine di VI secolo, le lance lunghe di legno con punte di ferro
vengono spesso recuperate nelle tombe maschili di VII secolo a.C., così anche la
spada lunga in ferro con elsa a croce; sul suo fodero è fissato un lungo
pugnale, elemento abbastanza frequente nelle tombe di VI secolo a.C.
Sul sostegno di sinistra vi
è un'iscrizione in lingua picena, con testo che si legge dal basso verso l’alto
e parole separate da punti: "MA KUPRI KORAM OPSUT ANANIS RAKI NEVII";
questa frase, tradotta ed interpretata da alcuni studiosi, potrebbe avere il
seguente significato: “Me, bella immagine, fece (lo scultore) Aninis per il re
Nevio Pompuledio”.
Si trattava, probabilmente,
della statua con funzione di segnacolo posta sulla sommità del tumulo di terra
della tomba regale.
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IL CONVENTO DI SAN GIOVANNI
La costruzione del convento
iniziò l’1 dicembre 1447 su un sito donato a Giovanni da Capestrano dalla
contessa Cobella da Celano; nel reliquario del Santo, infatti, è conservato il
documento con il quale avvenne tale donazione. Il luogo fu scelto vicino alla
"Palombara" dove, secondo la leggenda, sorgeva il vecchio castello fondato da re
Desiderio.
In principio la chiesa,
dedicata a San Francesco, aveva la stessa ubicazione dell’attuale ma era priva
delle due cappelle laterali e del portico esterno mentre il convento era molto
piccolo ed aveva il nucleo tra l'attuale sacrestia e la cantina; in particolare,
al piano superiore c’erano le celle dei frati, mentre al pian terreno c’erano le
“officine” ed il piccolo refettorio. Per l'ingresso al convento i religiosi si
servivano della porta vicino alla cappella di S.Marta.
Nel 1456 doveva già esserci
una biblioteca per custodirvi i libri ed i manoscritti del Santo che per sua
volontà, furono, dopo la morte, riportati nel convento di Capestrano.
Negli anni successivi, con
il fiorire di nuove vocazioni per onorare la memoria del Santo, il convento
venne ampliato con la costruzione di arcate, colonne, ampi corridoi ed uno
splendido chiostro, affrescato nel 1620 con con dipinti che raccontavano la vita
del Santo. Nel 1709 venne iniziata una nuova ala, a forma di quadrato a due
piani con al centro un ampio cortile, un nuovo refettorio e nuove celle per la
numerosa comunità francescana. Nel 1742 fu completata l'attuale biblioteca
mentre la scala regia è del 1750. L'ultima ala del convento, costruita nel 1853,
è quella che si affaccia sull'odierno cimitero. Nel 1977 fu ampliato il piazzale
antistante la chiesa e al centro di esso fu posta la statua, alta 6 metri,
raffigurante S. Giovanni con la croce vittoriosa nella mano destra, opera dello
scultore P. Andrea Martini. Dal 1993 al 1997 la
struttura è stata sottoposta ad un importante restauro.
Nel Museo del convento di
S. Giovanni si possono ammirare oggetti di grande valore, quali tutti gli
oggetti appartenuti al Santo: il mantello, il bastone, i sandali e la bibbia di
pergamena del XV sec. contenente miniature raffiguranti i profeti, regalata a
San Giovanni dal papa Callisto III. Si conservano inoltre arredi sacri di grande
pregio quali calici in argento del ‘700, una croce processionale sempre del
‘700, il busto argenteo del Santo donato al convento da Cosimo III dei Medici
nel XVIII sec. ed un quadro databile 1740/41 attribuito a Vincenzo Damini,
pittore veneziano. |